10 Giugno 2016
… e alla fine, ce l’abbiamo fatta.
Challenge Venice, 5 giugno 2016: 3,8 km a nuoto, 180 km in bici e maratona finale in 11 ore e 46 minuti.
Sono ufficialmente ironman, anzi: ironlawyer.
Sveglia prima dell’alba, tuffo in laguna, sei ore di bicicletta, una maratona estenuante sotto il sole ed un traguardo emozionante, dopo una giornata ininterrotta di fatica e sudore…
Questa è stata la mia gara, la mia vittoria personale, contro me stesso, i miei limiti e le mie paure.
Ma quello che ricorderò di più di questa folle e meravigliosa avventura sportiva, iniziata quasi per scommessa con un triathlon sprint cinque anni fa, non è tanto la stupenda giornata clou del 5 giugno, quanto i lunghi mesi di allenamento che mi hanno consentito di arrivarci, nel pieno delle mie forze e perfettamente consapevole che il traguardo era alla mia portata.
Ricorderò per sempre l’inverno in piscina, con due allenamenti settimanali da 5 km l’uno.
Non scorderò mai le ore passate nel mio sgabuzzino a pedalare sui rulli da solo, sudando come un matto e guardano vecchie puntate di Magnum p.i. e Battlestar Galactica, mentre fuori era ancora buio, pioveva e faceva freddo.
Accarezzerò sempre il ricordo dei “lunghi” a piedi del sabato mattina, attesi con ansia già dalla sera del venerdì: tre ore di corsa tra Piave e campagna, in compagnia solo del ritmo del mio respiro e del canto dei merli.
Una media mensile di 250 km a piedi, 35 a nuoto e 600 in bici, diventati mille in primavera…
Una montagna di ore, sottratte alla mia famiglia, al mio lavoro, alla mia vita di tutti i giorni: una fatica immane, per incastrare gli allenamenti tra gli impegni della giornata, cercando di non irritare nessuno e di non trascurare (troppo) le altre attività quotidiane, sempre girando con le borse nel bagagliaio dell’auto, così da poter approfittare di ogni ora libera per un tuffo in piscina o una corsa liberatoria in mezzo ai campi o in riva al mare.
Tutto per arrivare preparato a quel tuffo in laguna alle 6:30 del 5 giugno.
Entro in acqua con la solita tensione, che riesco però a controllare grazie anche a qualche preghiera, sussurrata tra me e me.
L’impatto con l’acqua non è male, nonostante le pulsazioni tendano a salire: vedo San Giuliano lontano, guardo il Ponte della Libertà alla mia sinistra, che tante volte ho percorso per andare al lavoro: mi è sempre sembrato lungo in auto, eterno durante la maratona di Venezia, ma questa domenica mattina è stupendo.
So che sto facendo una cosa incredibile.
Quattro o cinque bracciate a rana, tanto per prendere confidenza con quest’acqua non proprio trasparente e poi via: uno, due, tre, respiro a destra; uno, due, tre, respiro a sinistra…
E così via, per un’ora e un quarto.
Provo a contare le “bricole” alla mia destra, ma mi perdo subito.
Qualcuno mi affianca e mi supera facilmente, ma dopo la metà del percorso comincio anch’io a lasciarmi alle spalle qualche cuffia colorata.
Vai così! Mi dico da solo.
Ecco San Giuliano, finalmente!
All’arrivo l’acqua è bassissima, si fatica persino a nuotare, ma la gioia di essere arrivato, con un ottimo tempo, è troppa per pensare ad altre difficoltà.
Esco dall’acqua, inizio a correre slacciando la muta e, in vista delle bici, incontro mio cognato Matteo, che mi aspettava, sia per incitarmi sia (immagino) per avvisare mia madre che sono uscito dalla laguna sano e salvo.
“Tutto a posto – gli grido – tutto perfetto!”.
Quanto ringrazierò, in questa giornata, i volti sorridenti degli amici che incontrerò lungo il percorso…
Ecco la zona cambio: prendo la mia borsa e mi svesto completamente, per indossare la tenuta da ciclismo. Via di corsa alla mia Argon 18, che mi aspetta, carica di roba da magiare e da bere.
Inforco il mio cavallo di carbonio e parto, iniziando subito a mangiare.
Mi sento benissimo, rincuorato per la buona prova a nuoto, ed inizio a pedalare con forza, imboccando la trentina di chilometri necessari per arrivare all’anello tra Meolo, Roncade e Monastier, da percorrere tre volte.
Vado via bene, con il mio k-way legato attorno alla schiena (come si dice da noi: “Pan e gabàn, sempre a portata de man…”) ed i chilometri filano via veloci.
Mangio, bevo, incontro amici che mi salutano, mi sorridono, mi fotografano.
Ad un ristoro prendo da un alpino un panino al prosciutto e, a quello dopo, una bottiglia d’acqua. Non mi trattengo e dico ridendo alla penna nera: “Grazie per l’acqua, ma preferivo un’ombra, però!”. Tutti ridono e mi gridano: “Ce l’abbiamo, rosso o prosecco? torna qua!”.
Goditi questo momento, mi dico: hai lavorato tanto per arrivarci.
Riesco a tenere i trenta all’ora per tutta la frazione, che chiudo in cinque ore e 54 minuti.
Entro per la seconda volta in zona cambio e mi rendo conto di due cose: sto benissimo e sono abbastanza indietro (le bici sulle rastrelliere sono tante).
Nessun problema, sono felice.
Cambio scarpe, maglietta e pantaloncini e via di corsa.
Incredibile: faccio i primi venti chilometri a 5:30 a km.
Non sono mai stato così bene ed in forma, neppure quando avevo vent’anni…
Alcuni amici sono anche qui al parco e i loro volti sorridenti, le loro parole di incitamento, mi aiutano tantissimo: grazie Paolo, grazie Martina.
Gli ultimo dieci chilometri sono un po’ faticosi, la media oraria scende drasticamente prima a sei a km, poi a sei e mezzo.
Una maratona eccezionale, comunque, durante la quale recupero ben cento posizioni.
Inizia a fare caldo e, alla fine, bevo acqua e sali ad ogni ristoro (ho fatto tutte le mie dodici ore solo assumendo cibi e liquidi naturali: solo due integratori di carboidrati durante la maratona).
È l’ultimo chilometro, quasi non me ne rendo conto.
I quadricipiti sono un po’ doloranti, ma per il resto sto ottimamente.
Arrivo sorridendo e, quando abbraccio mia sorella che mi aspetta all’arrivo, mi commuovo.
11 ore, 46 minuti e 41 secondi. 334° su ottocento.
Ce l’ho fatta.
Grazie a tutti.
20 Settembre 2015
IRONMAN: l’uomo di ferro, il supereroe più umano della Marvel (in fondo, è solo un uomo molto intelligente, col cuore malandato ed una formidabile armatura volante)…
Ma anche la regina delle gare, il TOP per ogni triatleta, anche se mezzo pensionato ed un po’ acciaccato come me: 3.800 mt a nuoto, 180 km in bici e, per finire, una maratona intera: 42 km e 195 metri da correre tutti d’un fiato. La gara suprema, l’obiettivo finale, la meta agognata: quello che la maratona rappresenta per un podista o lo Zoncolan per un ciclista, è l’Ironman per un triatleta. Sono ancora molto lontano dal potermi permettere una gara del genere, ma la cosiddetta “mezza distanza” la posso fare.
In realtà, già il Long Ligerman del 2013 sul Lago di Santa Croce era quasi un mezzo Ironman: mancavano solo una decina di km in bici ed una manciata di km a piedi per arrivare alla distanza classica dell’Half Ironman.
Quindi, ce la posso fare!
E così, agli inizi della primavera 2015 mi iscrivo all’Half Ironman di Pola (Croazia): 20 settembre, un’intera estate per prepararmi; un sacco di chilometri da fare, soprattutto in bici; un bel tratto a nuoto in mare aperto, l’Adriatico, in fondo lo stesso mare che bagna Jesolo, dove nuoto fin da bambino. Giugno, luglio e agosto, quindi, sono dedicati alla preparazione: soprattutto “lunghi” in bicicletta, la disciplina in cui mi sento decisamente meno pronto: prima tre, poi quattro ed alla fine cinque ore di seguito sul sellino.Pedalare per 150 km in mezza giornata, su e giù per la riviera dell’alto Adriatico ed il primo entroterra veneziano: Jesolo, Punta Sabbioni, Eraclea Mare, Caorle, San Donà…
Avanti e indietro, sempre cercando di mantenere quella improbabile media di 30 km all’ora e tornare, per ora di pranzo, da mia moglie ed i miei ragazzi, che mi aspettano al mare a Jesolo da quando sono terminate le scuole.
Corro, durante la preparazione, la mezza maratone di Jesolo in notturna: la Moonlight Half Marathon, da Punta Sabbioni alla centralissima Piazza Mazzini della mia Jesolo. È la “corsa di casa”, che l’anno scorso non ho potuto fare a causa dell’intervento chirurgico al nervo sciatico, effettuato proprio il giorno prima del via (e che mi ha, di fatto, tenuto bloccato per tutta l’estate).Sono in perfetta forma, il clima è ideale, il percorso ottimo: chiudo in un’ora e 36, il mio record personale ma, soprattutto, con mia moglie Elisabetta ed i miei ragazzi, Giorgio e Maria, che mi aspettano all’arrivo.
E così l’estate passa, tra lunghe nuotate ed ancor più lunghe pedalate, ed arriva il 19 settembre.
Parto al mattino con Andrea Lazzarini, il mio collega avvocato, compagno di scuola e di tante serate, che ridendo promette di farmi da “direttore tecnico” (in realtà berrà aperitivi e cocktail sulla spiaggia per tutto il giorno, ma sarà puntualissimo all’arena, sulla linea del traguardo). Gli iscritti sono 2000 e ne arriveranno al traguardo in tempo utile 1668.
La partenza è per le dieci del mattino dalla bella spiaggia di Verudela, qualche km a sud di Pola. Il mare è piuttosto increspato e soffia una discreta bora, che qui arriva da terra: per fortuna la muta e consentita.
Entriamo in acqua quasi alla spicciolata, divisi in gruppi a seconda del tempo che ipotizziamo di impiegare a coprire i 1.900 metri della fase di nuoto. Le prime bracciate sono buone: l’acqua è trasparente, percorsa da pesci che brillano ai raggi della luce che si infilano tra le onde. Parto con molta calma, cercando di tenermi lontano dal gruppo e di mantenere il mio ritmo di tre bracciate ed un respiro. Mi pare di andare via bene, ma fondo roccioso dopo pochi metri scompare in una pozza nero-bluastra, l’acqua si fa profonda, sento la riva allontanarsi alle mie spalle ed ecco che arriva l’affanno. Perdo il ritmo del respiro, le onde che arrivano da destra cominciano a dare fastidio, le boe al largo mi sembrano lontanissime….
Calma, calma, calma.
Facile a dirsi: tutt’attorno continuo a vedere braccia che si agitano, cuffie colorate, piedi che scalciano… Decido di fare un po’ di bracciate a rana, sperando di regolarizzare il respiro e riprendere il ritmo. Vedo che non sono il solo ad aver avuto questa pensata: poco avanti a me scorgo una specie di gigante russo, con la scritta BALATON tatuata sul braccio, che era entrato in acqua con il solo costume da bagno, mentre noi eravamo tutti stretti dentro le mute di neoprene. Sta andando a rana anche lui!
Non se se è stata questa immagine curiosa a tranquillizzarmi, ma sta di fatto che arrivo alla prima boa decisamente più sereno. Viriamo a sinistra, per il breve tratto parallelo alla costa (che mi pare enormemente lontana) e puntiamo sulla seconda boa. La doppio e punto con decisione verso riva. Ho ripreso la mia nuotata normale, anche se sono costretto a respirare ogni due bracciate, sempre verso destra, per evitare di bere ogni volta che apro la bocca. Finalmente vedo la riva avvicinarsi. Scorgo la gente che fa il tifo. Noto che molti sono usciti da un bel po’, ma attorno e dietro a me ci sono ancora decine e decine di uomini che tentano di raggiungere la spiaggia il più presto possibile. Non sono ultimo, quindi, e già questa è una bella cosa… Inizio a vedere il fondale, i pesci sembrano essersene andati, la bora è piuttosto decisa e le onde fastidiose, ma ormai sento che è fatta. Appoggio i piedi e mi raddrizzo: sono fuori! Guardo il Garmin: 42 minuti. Pensavo peggio.
Dalla spiaggia si sale verso la pineta, dove ci sono le bici.Prendo la borsa per cambiarmi e, sinceramente, me la prendo comoda, trovando anche il tempo di scambiare qualche mezza battuta ed un sorriso sincero con un altro atleta in età, che fruga nella borsa in cerca del casco da bici prima ancora di essersi tolto la muta. Arrivo nel grande parcheggio per le bici e noto con soddisfazione che, oltre alla mia, ce ne sono molte ancora sui supporti. Ridacchiando tra me e me, trotterello con la bici al fianco fino all’uscita, salto in sella e via, verso Pola.
Il percorso in bici è lungo, vallonato e sarà bersagliato dal vento fino al “giro di boa” a nord, dopo la bellissima Sanvincenti, alla quale mi lega il dolce ricordo di un viaggio con mia moglie, quando eravamo ancora fidanzati. Il ritorno verso Pola ci fa passare in mezzo a pinete e paesini, dove la gente assiepata lungo le stradine ci saluta e ci incita (“Forza italiano!”); transitiamo lungo una specie di strada provinciale, sotto Valle (Bale in croato) e superiamo parecchie brevi salite, per me tanto dure quanto emozionanti.Iniziano finalmente anche le discese, nelle quali prendiamo molta velocità: quasi mi distendo sulle prolunghe del manubrio, mangio qualche barretta, bevo tutte e tre le borracce di acqua e integratori che mi sono portato.I l gruppo si è allungato tantissimo: pedalo praticamente da solo fino quasi a Pola.
Entro in città e vedo già molti nel pieno della prova di corsa.Metto finalmente anche io giù la bici, indosso le mie fedeli Asics arancioni ed inizio a correre.
Mi sento benissimo ed in piena forma. Le gambe vanno a meraviglia ed inizio a superare decine e decine di altri concorrenti. Sorrido sempre più soddisfatto: non sono certo un grande ciclista, ma a piedi corro meglio di tantissimi altri. Più il tempo passa, più macino chilometri sul lungomare di Pola (sono tre giri, al termine di ognuno dei quali delle ragazze ti infilano nel braccio destro un braccialetto colorato), più persone supero. Mi sento la pelle tutta impiastricciata di sudore, acqua salata e schizzi di integratori dolciastri, ma sono felicissimo: alla fine saprò di aver recuperato, nella frazione di corsa, oltre trecento posizioni.
Arrivo finalmente all’ultimo giro, scambio qualche entusiastico “5” con i bambini lungo il tratto si strada che conduce all’Arena. Incrocio anche Dario ‘daddo’ Nardone di FCZ, vero animatore della gara, che fa da speaker e chiama per nome gli atleti in transito: “Forza Alberto!” mi grida. Io stringo ancora di più i denti e vado avanti.
Ecco: ci sono.
L’Arena di Pola, bellissima come quelle di Verona, malinconica come solo un pezzo d’Italia e di Roma incastonato in un altro Paese può essere. È piena di gente. Alzo le braccia al cielo, limpido, azzurro e luminoso. Sento lo speaker dire il mio nome, vedo i due “gladiatori” al lati del traguardo, noto che sopra la finish-line il tabellone luminoso oltre al tempo indica anche il nome dell’atleta che sta passando…
Pochi secondi, un attimo, e tutto finisce.
Una ragazza mi mette al collo una medagliona enorme, sorridendo. Io rido sempre: me ne renderò conto solo dopo, vedendo le foto ed il video della gara.A pochi metri dietro l’arrivo c’è Andrea che mi aspetta: ci siamo salutati solo poche ore fa ed io ero pieno di dubbi, apprensione ed un po’ di paura.Adesso ci guardiamo sorridendo: “Non sembri neppure sudato – fa lui – sei sicuro di averla fatta tutta la gara?“. Mi dà un favoloso “5” e, guardandomi da sotto gli occhio da sole mormora: “Andiamo a mangiare, dai. Ho fame“. E davanti ad un calice di ottimo Malvasia Istriano posso brindare con serenità a questo mio successo…
(P.S. alla fine ho chiuso in 5 ore e 47 minuti, anche se il tempo ufficiale dirà 5:05, dato che hanno deciso di togliere i tempi del nuoto a causa del vento forte, che ha strappato un paio di boe mandando molti atleti fuori direzione: 42 minuti di nuoto; 3:09 di bici e, soprattutto, un ottimo 1:46:00 a piedi).
1 Marzo 2015
Tre ore, trentuno minuti e… un secondo!
Per un soffio, quindi, non sono entrato nelle tre ore e mezza.
Una bella cosa quella del primo marzo 2015 a Treviso.
Fatta quasi per caso, visto che è la più vicina a casa.
Bella giornata di sole, ottima organizzazione, fisico a posto: non potevo che fare un bel risultato!
30 Novembre 2014
Dopo la pausa forzata dell’estate scorsa, finalmente si ricomincia.
Mi alzo alle 3:40.
Avevo puntato la sveglia alle 4:15 ma alle tre e mezza ero già sveglio come un grillo.
Faccio colazione con calma (spremuta, latte, “pinza” come a Torino; mi preparo anche un panino integrale alla marmellata di fichi e una banana da mangiare dopo, in treno). Vado in bagno e puntuale alle 5 cinque meno un quarto arriva Luca. Siamo tutti e due poco preparati: io per aver ripreso a correre in agosto, dopo l’intervento al nervo sciatico e Luca per un dolore al piede che lo ha bloccato negli ultimi 15 giorni. Ad entrambi mancano i “lunghi” (io ne ho fatti solo tre, da 30 km) e lo pagheremo nell’ultimo tratto della gara.
Treno alle 5:37, semivuoto.
Ci accomodiamo con calma, Luca sonnecchia, io vado altre due volte in bagno (ottimo: é un aspetto importate per quanto apparentemente ridicolo…).
Arriviamo alle 7:30 e ci accodiamo al gruppo di podisti, che s’ingrossa strada facendo, e arriviamo al ponte San Nicoló, dove c’è la partenza. Incontriamo Cristian Fuser, che sabato ci ha ritirato i pettorali, ci vestiamo (fa caldo, almeno 16 gradi, e decido di correre in maniche corte con sopra la canottiera degli Oll Scars) e, dopo i saluti di rito (“spetame all’arrivo”) ognuno entra nella sua gabbia.
Su 11.000 iscritti, ne arriveranno al traguardo oltre 8686.
La partenza é molto lenta: siamo tanti e intasiamo i primi tratti.
Perdo un minuto al primo km e 40 sec. al secondo.
Solo al terzo riesco a mettermi sui 5 min/km, ma ho già perso i palloncini azzurri della “lepre” da tre ore e mezza, obiettivo ipotetico e “accarezzato”, nonostante fossi cosciente della mia scarsa preparazione.
Peraltro, nella settimana precedente la gara, ho iniziato a soffrire di frequenti aritmie e extrasistoli: non volendo correre rischi giovedì ho fatto una visita cardiologica con ECG a Monastier con successivo Holter per 24 ore. Solo venerdì all’una ricevo il benestare del cardiologo…
Con una mediocre preparazione ed un po’ di apprensione, affronto questa sesta sfida sulla lunga distanza.
Usciamo quasi subito dal centro storico, all’inizio c’é poca gente a fare il tifo, ma aumenta progressivamente.
Lungo il percorso ci sono ristori ogni 5 km (bevo sempre) e spugnaggi, gruppi musicali e stranieri, soprattutto francesi e spagnoli, ad incitare i loro corridori.
Tengo piuttosto bene, scendendo diverse volte sotto i 5 min e mi illudo di potercela fare…
Al 23′ km c’é un gruppo rock’n’roll con contrabbasso che mi ricorda l’estate: faccio un salto e fischio forte, ricaricandomi.
Torniamo quindi in centro, la gente é molta, il tifo aumenta.
Al km 34 imbocchiamo una strada stretta, alla fine della quale scorgo il campanile di Giotto!
Ho appena dato il “5” a due bambini e, pensando ai miei guardando questo spettacolo, mi commuovo.
Mi salgono addirittura le lacrime! Sono felice.
Gli ultimi km sono durissimi: i quadricipiti, soprattutto il destro, mi fanno male.
Sono stanco e la velocità scende a 5:30 e addirittura 5:40.
Capisco che le tre ore e mezza sono ormai un obiettivo impossibile.
Ma, ormai, mi basta arrivare, felice (e in salute).
Arrivando avevamo visto l’indicazione “KM 39” sul ponte Vecchio: penso solo a questo, adesso, immaginando che dopo il ponte é fatta. Ad un certo punto mi sento chiamare: “Vai Alberto, dai! Dai!”.
E’ Aldo Serafin, degli Oll Scars, venuto apposta da casa a fare il tifo per me, Cristian ed Ermete Pastorio, che supero ad un paio di km dall’arrivo.
Finalmente passiamo per Palazzo Vecchio, sotto il campanile, davanti al battistero. E’ stupendo!
Le gambe mi fanno sempre più male, temo un crampo (ce ne sono tanti bloccati, a causa del clima caldo e umido), ma alla fine arrivo in piazza Santa Croce, con la basilica alle spalle.
Lisa poi mi dirà che é vicino a via Anguillara, dove c’é la casa italiana di Martin Mistére: sinceramente, però, in quel momento, non mi rendo conto di nulla.
Vedo solo l’arrivo, potermi finalmente fermare, bere dell’acqua, telefonare a casa…
E’ fatta: sano e salvo in 3:40:17.
Avrei potuto limare qualche minuto, ma sono comunque molto contento.
17 Novembre 2013
Il 17 novembre 2013 ho corso la Turin marathon in 3.38.51.
Un ottimo tempo per me.
Mentre percorrevo gli ultimi chilometri, mi sono posto una domanda.
E cosi’ mi sono dato anche al risposta…
Cosa vuol dire” Correre una maratona?”.
Sottoporre il proprio corpo (muscoli, ossa, articolazioni) ad una prova di resistenza estrema.
Spingersi oltre la fatica, il dolore, lo sconforto e, soprattutto, la paura di non farcela.
Sì, perché correre una maratona non é solo sforzo fisico.
E’ concentrazione, forza di volontà, amore per la vita.
Fino ai venti chilometri può arrivare quasi chiunque; anche a trenta, col giusto allenamento, ce la si può fare senza enormi difficoltà.
Oltre no.
Per correre 42 km (e 195 metri, non dimentichiamolo: alla fine della corsa si sentono eccome…) serve qualcosa di più del solo allenamento fisico.
Per quanto uno si alimenti correttamente, prima e durante la gara, dopo 30 / 35 chilometri il serbatoio é drammaticamente vuoto.
I tuoi muscoli hanno dato tutto quello che potevano dare.
Ora tocca a qualcos’altro.
E’ in quel momento, quando senti che il corpo non ce la fa più, che polpacci e quadricipiti urlano “fermati!”, che non hai più saliva né sudore da buttare fuori, è in quel momento che devono scendere in campo cervello, anima, cuore.
Il primo ti grida imperioso, sovrastando i lamenti strazianti dei muscoli: “E tutta la preparazione dei mesi scorsi? Le levatacce, i rimbrotti di tua moglie e dei tuoi colleghi di lavoro? Le rinunce a tavola ed alla vita sociale, sacrificata a lunghi e ripetute solitarie? Buttiamo tutto? No e poi ancora no! Tieni duro, perdio!”.
Poi, quando ormai mancano tre o quattro km e le ginocchia sono diventate dure come assi, é il tuo cuore a farsi sentire: “Ci siamo, amico mio. Stringi i denti ora. Non mollare: ama e corri, corri e ama”.
Alla fine, negli ultimi metri, è solo la tua anima che ti sorregge: “Lo senti il ritmo del respiro? Ascolti il cuore pulsare e puoi quasi vedere il sangue rosso e caldo scorrere nelle vene? Questi sono il dolore e la gioia, la speranza ed il dramma, frammisti a lacrime e sudore. Questa é la VITA, caro mio. Perché tu sei splendidamente vivo e quel traguardo a pochi passi é la parafrasi della nostra esistenza.
Allora andiamo! A noi la strada!”.
Ecco perché corriamo la maratona.
4 Agosto 2013
Sei mesi di allenamento, centinaia di ore di corsa e di vasche in piscina, tempo sottratto alla famiglia, al lavoro ed al riposo, con un solo obiettivo: tagliare il traguardo in un tempo decente (e senza farmi) male del Long Ligerman Triathlon.
La più lunga gara cui mi sia mai iscritto: 2 km di nuoto nel lago di Santa Croce, 75 km di bici e 20 di corsa. Tempo massimo: sei ore.
Devo essere sincero: avevo più di qualche dubbio sulla mia capacità di arrivare alla fine della gara, la cui partenza era fissata per le 7 del mattino di domenica 4 agosto 2013.
Arrivo a Santa Croce sul Lago alle 21.00 di sabato, giusto per trovare la camera che condivideró con Enrico, ottimo ciclista della nostra Polisportiva Fossaltina.
Molto bello il B&B che ci ospita: una palazzina di fine ‘800, con splendida vista sul lago, ma la mia avventura agonistica non comincia affatto bene: a mezzanotte mi sto ancora rigirando nel letto e solo verso mattina riesco ad appisolarmi.
Mi sveglia Enrico alle 4 in punto: dobbiamo fare subito colazione, in modo da aver digerito prima di entrare in acqua: dopo un quarto d’ora mi avvento senza problemi sulla pastasciutta, seguita da una colazione vera e propria a base di caffé, burro e marmellata.
Alle 5:30 siamo pronti e portiamo le bici in zona cambio, dove ci aspetta una brutta notizia: l’acqua é a 24 gradi, per cui niente muta.
Porca miseria, io ci speravo: la muta agevola il galleggiamento e aiuta molto, senza contare che, per me, è una specie di coperta di Linus che mi infonde tranquillità e sicurezza.
Mentre comincia ad arrivare il grosso degli iscritti (siamo 250) decido di provare l’acqua.
Non é fredda, a paragone con l’aria esterna.
Appena esco inizio a tremare quasi convulsamente e fisso la cresta dei monti a est, aspettando con ansia che spunti il sole, confidando in un po’ di tepore.
Ma appena i primi raggi fanno capolino, suona la tromba del via.
Aspetto qualche secondo prima di buttarmi a nuoto, per evitare al solito la “tonnara”, ossia il vortice di braccia e gambe che, dopo due anni, continua a farmi paura.
Nonostante la partenza lenta, non riesco comunque a tenere il ritmo: il respiro mi si fa presto affannoso e devo passare di continuo a qualche bracciata a rana, per prendere fiato.
Comunque in 47 minuti ce la faccio, ma esco dall’acqua, tra gli ultimi.
Non importa: sono contento comunque ed entro in una zona cambio ormai deserta.
Con calma mi asciugo, metto le scarpe, il pettorale ed infilo anche un gilet impermeabile: sono zuppo di acqua ormai gelida e vorrei evitare un attacco di mal di pancia a metà percorso…
Inizio il primo dei cinque giri del lago in sella alla mia Wilier rossonera: una bella salita di tre km poco dopo il via, una discesona dove arrivo a 50 all’ora e poi tutto un saliscendi fino a Farra d’Alpago, dove c’é il controllo dei tempi.
Pedalo quasi sempre in solitaria, mangiando barrette e bevendo acqua e sali con regolaritá.
Tengo i 29 km/h di media, come da programma.
Dopo un po’ vengo superato da Alberto Casadei, che poi vincerà la gara, ed una manciata di altri ciclisti velocissimi, tutti col nome sul pettorale, portato sulla schiena come da regolamento durante il tratto in bici.
Niente di male se vengo doppiato da questi: sono i professionisti, penso.
Solo all’ultimo giro, quando sento la voce simpatica di un anziano ciclista impegnato nel giretto domenicale, che da dietro mi grida: “Ehi Alberto, sei stanco?”, mi rendo conto ch tutti abbiamo il nome sul pettorale…
Sorrido tra me e me mentre, dopo due ore e 34 minuti, riporto la bici in zona cambio (stavolta gremita di bici…) e, sempre con calma, cambio le scarpe e parto per i 20 km finali di corsa.
Sono quasi le 11 ed il caldo comincia a farsi sentire (finiremo abbondantemente sopra i 30 gradi), ma mi sento bene: parto piano per poi aumentare progressivamente, fino ad arrivare a 5:20 di media a km.
Il percorso, da ripetere quattro volte, é quasi tutto al sole, ma l’organizzazione é impeccabile: acqua, sali e persino coca colla ci vengono offerti con regolarità.
Supero parecchi concorrenti e non mi sento per niente male: chiuderó l’ultimo giro addirittura a 5:00 a km, segno che non ero affatto svuotato di energie ed avrei potuto tenere anche un ritmo più deciso.
Finalmente, dopo cinque ore di gara, imbocco il tratto finale.
Mi rendo conto che sto ridendo solo quando, a pochi metri dall’arrivo, sento dal pubblico qualcuno che mi applaude gridando: “Così si fa: si sorride fino alla fine! Questo è triathlon!”.
Taglio il traguardo in 5 ore e due minuti: stanco, zuppo dai capelli ai calzini ma decisamente soddisfatto.
Sono Ligerman.
3 Marzo 2013
Finalmente il sole e, col sole, il mio primo tempo “decente”: tre ore e 49 minuti.
Peraltro, senza particolare affaticamento, per cui ritengo di avere ancora un buon margine di miglioramento…
La data di questo mio personale “successo” è il 3 marzo 2013 e la location è il capoluogo della Marca, la bellissima Treviso.
Molto particolare come maratona, in quanto sono previste tre partenze diverse, a scelta dei partecipanti: Vidor, Vittorio Veneto e Ponte di Piave, da dove sono partito io.
Tutti i maratoneti, all’altezza del 23° chilometro, confluiscono nel comune di Ponte della Priula e attraversano il ponte sul Piave, imbadierato e con i biplani che lo sorvolano lasciando nel cielo azzurro brillante le scie tricolori.
28 Ottobre 2012
Non dimenticherò mai la mia prima maratona.
42 chilometri e 195 metri: la distanza che separa la piana di Maratona da Atene e, per me, la strada meravigliosa e unica che da Villa Pisani a Stra conduce fino alla piazza più bella del mondo: piazza San Marco a Venezia.
Ottomila gli iscritti, poco più di seimila quelli giunti all’arrivo. Già questo suggerisce in quali condizioni abbiamo corso.
Pioggia e vento gelido fin dalla partenza, ma il “colpo di grazia” lo abbiamo subito alle porte di Venezia, al Parco San Giuliano, trentaduesimo chilometro (io ero alle soglie delle tre ore di corsa), quando il freddo ha iniziato a farsi veramente sentire ed il vento, una gelida bora che arrivava da nord-est, a soffiare potente.
Abiti zuppi di pioggia, muscoli delle gambe in sofferenza, estremità letteralmente ghiacciate.
I primi trenta chilometri sono stati duri, li ho corsi in solitaria, ossia senza alcun compagno, seguendo col mio passo (5:30 al km) il flusso di atleti in marcia verso la laguna.
Ma gli ultimi dieci sono stati un vero e proprio tormento.
Alla fine, però, ce l’ho fatta.
Quattro ore e sette minuti: una decina di minuti in più del mio obiettivo ma, con quelle condizioni climatiche, non posso che esserne fiero!
Adesso inizio a preparare la prossima…
13 Settembre 2012
Come dice Aldo Rock: il primo Ironman lo fai per caso, il secondo per scelta, il terzo per sempre.
In effetti, io non ho fatto (ancora) un Ironman, ma ho provato le medesime sensazioni col mio triathlon Olimpico.
Il primo olimpico a Bardolino è stato, effettivamente, un’impresa per me quasi epica.
Il secondo, a Sirmione, è stato fantastico perché avevo superato le prime paure.
Il terzo, a Grado, lo scorso 15 settembre, è stato una passeggiata.
Non voglio certo fare lo sbruffone (ho chiuso con un tempo a quasi-pensionato: 2 ore e 46 minuti), ma devo dire che mi sono proprio goduto la gara.
Non avevo ansie da prestazione, non sentivo particolari paure, il mio corpo rispondeva bene grazie agli intensi allenamenti di agosto (ho chiuso il mese delle ferie con 238 km totali di corsa, 9 di nuoto e 280 di bici) ed ho preso parte alla gara in scioltezza e tranquillità.
Via col nuoto in un mare (freddo e non proprio limpido) accarezzato da una brezza pre-autunnale!
Le boe sono a notevole distanza, tanto che rischiamo più volte di sbagliare direzione: ci tocca tirare spesso su la testa e correggere le bracciate.
Stavolta non sento il minimo affaticamento: non vado veloce (seguo sempre il mio ritmo) ma nuoto in scioltezza, fino a arrivare finalmente alla spiaggia.
Inizio a sfilarmi la muta prima ancora di uscire dall’acqua ed arrivo alla bici che sono quasi asciutto.
Calzo rapidamente le scarpe con le tacchette, indosso il casco e via per i 40 km in solitaria.
Si’, perche’ in questa gara è vietata la scia: ognuno per conto suo e nessun effetto-traino.
Vado via bene: il vento non è forte ed i tre giri filano via veloci.
La parte che mi ha soddisfatto di piu’ e’ stata la terza ed ultima frazione: il clima ideale per correre e la tranquillita’ che ha caratterizzato l’intera mia prova mi hanno aiutato a tenere praticamente i 5 minuti a chilometro. Chiudo in 51 minuti che, per me, è un ottimo tempo-gara.
Se penso che avevo nelle gambe mezz’ora abbondante di nuoto ed un’ora e rotti di bicicletta, c’è di che essere soddisfatti!
Un’ottima gara, in sostanza, goduta dall’inizio alla fine.
Adesso inizia l’autunno: penso che mettero’ via la bici e mi dedichero’ anima e corpo alla corsa: il 28 ottobre c’e’ la Venice Marathon.
La mia prima maratona…
30 Giugno 2012
Un luogo meraviglioso: la penisola di Sirmione, una sottile striscia di terreno protesa dentro il lago di Garda, meta turistica d’eccezione, con un borgo medievale splendidamente conservato.
E’ in questo posto stupendo che ho preso parte al mio secondo triathlon sulla distanza olimpica: un chilometro e mezzo a nuoto nel lago, poi via di corsa per 40 Km in bici e, per finire, 10 Km di corsa a piedi sul lungolago.
Due ore, cinquanta minuti e 33 secondi il mio tempo finale.
La parte decisamente più’ bella e’ stata la prima: siamo partiti, divisi in sei batterie, dalla riva est della penisola; ci siamo diretti al largo e, aggirate quattro enormi boe rosse, abbiamo fatto ritorno verso riva, puntando direttamente sul castello.
Penso che non dimentichero’ mai la torre ed i merli in controluce, visti tra una bracciata e l’altra, meta da raggiungere ma non ancora traguardo.
Bisognava, infatti, entrare nel bacino del castello, passare sotto al ponte levatoio (!) sbucare dall’altra parte della penisola e prendere finalmente terra dalla parte opposta, sul lato ovest.
Sicuramente la frazione piu’ affascinante dell’intera gara.
Uscito dall’acqua (molto soddisfatto della nuotata, devo dire…) sono saltato sulla bici e via a pedalare verso l’entroterra.
Viti, ulivi e campi coltivati a cereali a perdita d’occhio.
Buono il percorso, senza troppi “strappi”.
Dopo un’ora e venti di pedalata arrivo nella seconda zona cambio (che e’ nel porticciolo turistico di Sirmione, a qualche chilometro dal centro storico, dove avevamo lasciato le bici inizialmente).
Qui c’era solo da agganciare la bici, infilare le scarpe e partire per l’ultima frazione.
Eppure sono riuscito a fare una fesseria anche qua.
Appendo la bici, mi tolgo casco e scarpe da ciclista ed inforco quelle da runner.
Strano, penso. Sembrano strette…
Allaccio la sinistra e passo alla destra.
Ci metto un po’ piu’ di attenzione (il dito mi fa ancora male, dopo la disavventura di Bardolino di due settimane fa) e noto un altro particolare: le stringhe sono bianche…
Ma io ho sempre avuto i lacci neri.
Un istante di panico…
Ed ecco che, dall’altro lato della bici, le mie Mizuno mi urlano: “Siamo qui, deficiente! Quelle sono di un altro!!!“.
Non ho neppure il tempo di arrabbiarmi: via le scarpe del mio vicino ed infilo rapidamente le mie (larghezza giusta e stringhe nere).
“Chi perde davvero non è chi arriva ultimo nella gara. Chi perde davvero è chi resta seduto a guardare, senza provare nemmeno a correre”. Oscar Pistorius
Pensa solo se l’altro fosse arrivato mentre mi stavo infilando le sue scarpe…
Ridendo da solo, come un ebete, parto per gli ultimi 10 Km.
Il caldo inizia a farsi sentire e lo stop forzato per quindici giorni dopo Bardolino mi pesa sulle gambe.
Non ce la faccio a tenere il mio ritmo e, alla fine, tengo una media di oltre 20 secondi superiore al tempo che mi ero prefisso.
Niente male, comunque.
Alla fine, ci ho impiegato quattro minuti in meno della gara precedente.
Se continua cosi’, tra dieci anni posso partecipare alle Olimpiadi…