Secondo uno studio condotto sui partecipanti alla maratona di Boston, un atleta di 19 anni raggiunge il picco della forza a 27, impiegandoci quindi otto anni (Born to run, C. McDougall, Mondadori, 2014)
Continuando l’allenamento, a che età si ritorna alle prestazioni iniziali, tenendo conto del naturale decadimento fisico?
35 (ovvero dopo altri otto anni)?
43 (dopo 16)?
In realtà, a 64 anni!
Abbiamo ancora 15 anni buoni di corse (e nuotate)…
Challenge Venice (note tecniche a margine)
Dopo il racconto “emozionale” della gara più impegnativa della mia vita, ecco un paio di “note tecniche” a margine, che potrebbero interessare qualche amico triatleta dilettante (ed un po’ in età…) come me.
Innanzitutto posso confermare un luogo comune, che ho constatato essere assolutamente vero e sacrosanto: una gara così non si improvvisa e neppure si prepara nei ritagli di tempo.
Per chiuderla in meno di dodici ore ho lavorato cinque mesi molto intensamente, arrivando a fare tre ore al giorno di allenamento e, nel week-end dedicato alla bici, quattro/cinque ore alla volta, seguite magari anche da una corsetta a piedi, così da provare lo sforzo combinato.
Il tutto avendo alle spalle un 2015 comunque impegnativo, con quattro maratone corse ed il mezzo Ironman di Pola del 20 settembre: sono quindi “partito” con la preparazione specifica già con le gambe ben preparate.
Ho fatto quasi tutto da solo, sempre cercando di non esagerare mai e seguendo delle tabelle “fai da me”, applicando però costantemente il principio della diversificazione dello sforzo, con allenamenti specifici a giorni alterni.
Per i bigiornalieri dell’ultimo periodo ho cercato di ridurre la corsa a sole tre uscite alla settimana, inserendo molta più bici, ovviamente trascurata durante l’inverno (anche se i rulli mi hanno aiutato tantissimo) e mantenendo i soliti due appuntamenti in piscina, che ho però prolungato, arrivando a tenere una media di 5 km a sessione, grazie anche alle indicazioni dell’intramontabile istruttore di nuoto Egidio Aliprandi, che ha sempre “sorvegliato” da lontano le mie bracciate troppo frequenti…
Ma l’allenamento non basta.
Ho infatti potuto constatare l’assoluta verità di quanto scrive il prof. Fulvio Massini, guru italiano della corsa, secondo il quale il risultato di una gara dipende da tre fattori: allenamento, alimentazione ed attitudine mentale.
Dell’allenamento ho detto e, come ho già confessato, sarà sicuramente il ricordo più forte che mi porterò dietro in eterno, forse anche più intenso della gara stessa.
Per l’alimentazione mi sono affidato ad una nutrizionista, la Dr.ssa Nadia Sorato, che mi ha dato indicazioni essenziali per farmi arrivare alla partenza con il serbatoio carico di energia e per cercare di mantenerne il più possibile durante la gara.
Pasti frequenti, controllo del peso e della massa corporea. E poi ricerca del giusto equilibrio tra carboidrati e proteine, della corretta idratazione (niente Gatorade o altri prodotti del genere: solo acqua, un pizzico di sale ed un po’ di succo all’albicocca), del “carico” nella settimana precedente al via.
Quella mattina, seguendo scrupolosamente le indicazioni della nutrizionista, mi sono alzato alle tre, così da poter mangiare un etto e mezzo di pasta col grana, un panino alla marmellata e, ad intervalli regolari, fruttini Zuegg e Pavesini fino a mezz’ora prima della partenza del nuoto (6:30).
Uscito dall’acqua ho subito bevuto mezzo litro d’acqua ed appena salito in bici ho iniziato a mangiare cibi solidi: ottimi biscotti alla marmellata e frutta secca in abbondanza, facile tra trasportare e gustosa al mio palato (cosa da non trascurare: bisogna mangiare di continuo ed è importante che quello che ti ficchi in bocca non inizi a fare schifo già dopo la prima ora…).
Ai ristori ho afferrato al volo due panini al prosciutto, le banane ed anche un paio di barrette.
Come da indicazioni, ho smesso di ingerire cibi solidi alla quarta ora di bici, tornando a fruttini Zuegg e Pavesini, che creano un buon mix di zuccheri e carboidrati e sono facili da digerire.
Sono potuto così partire con la corsa a piedi avendo lo stomaco leggero, ma con un buon serbatoio, non ancora “in riserva”.
Durante la maratona ho preso solo due gel, ma non ho lesinato acqua e sali, soprattutto nell’ultima ora, quando il caldo cominciava a farsi sentire.
Sono arrivato al traguardo senza particolari difficoltà, tenendo sempre il ritmo che mi ero prefissato e riuscendo così a gestire la gara con attenzione ed efficacia.
Il terzo elemento, come detto, è sicuramente l’attitudine mentale: chiamiamola motivazione, perseveranza oppure resilienza come dice Trabucchi, certo è che senza una grande concentrazione ed una strenua preparazione psicologica, non sarei andato da nessuna parte.
Controllo della tensione prima di entrare in acqua, così da evitare attacchi di ansia ed aumento incontrollato delle pulsazioni; contenimento dello sforzo durante la fase di bici, per non farsi prendere dall’entusiasmo e spingere più del dovuto; concentrazione massima e autocontrollo durante la maratona, la fase certamente più impegnativa sia fisicamente che da un punto di vista psicologico.
La forza di volontà non mi è mai venuta meno, anche grazie all’iniziativa Autismo S.O.S. che avevamo ideato assieme all’amico Achille Santin: ho “sfidato” cinque aziende, sensibili a questi temi sociali, a versare all’associazione un euro ciascuna per ogni chilometro che sari riuscito a percorrere durante la gara.
226 chilometri totali, per cinque aziende, fa un totale di 1.130,00 euro, che l’associazione Autismo S.O.S. impiegherà per i propri scopi assistenziali e di volontariato.
Una splendida avventura.
Challenge Venice, finalmente!
… e alla fine, ce l’abbiamo fatta.
Challenge Venice, 5 giugno 2016: 3,8 km a nuoto, 180 km in bici e maratona finale in 11 ore e 46 minuti.
Sono ufficialmente ironman, anzi: ironlawyer.
Sveglia prima dell’alba, tuffo in laguna, sei ore di bicicletta, una maratona estenuante sotto il sole ed un traguardo emozionante, dopo una giornata ininterrotta di fatica e sudore…
Questa è stata la mia gara, la mia vittoria personale, contro me stesso, i miei limiti e le mie paure.
Ma quello che ricorderò di più di questa folle e meravigliosa avventura sportiva, iniziata quasi per scommessa con un triathlon sprint cinque anni fa, non è tanto la stupenda giornata clou del 5 giugno, quanto i lunghi mesi di allenamento che mi hanno consentito di arrivarci, nel pieno delle mie forze e perfettamente consapevole che il traguardo era alla mia portata.
Ricorderò per sempre l’inverno in piscina, con due allenamenti settimanali da 5 km l’uno.
Non scorderò mai le ore passate nel mio sgabuzzino a pedalare sui rulli da solo, sudando come un matto e guardano vecchie puntate di Magnum p.i. e Battlestar Galactica, mentre fuori era ancora buio, pioveva e faceva freddo.
Accarezzerò sempre il ricordo dei “lunghi” a piedi del sabato mattina, attesi con ansia già dalla sera del venerdì: tre ore di corsa tra Piave e campagna, in compagnia solo del ritmo del mio respiro e del canto dei merli.
Una media mensile di 250 km a piedi, 35 a nuoto e 600 in bici, diventati mille in primavera…
Una montagna di ore, sottratte alla mia famiglia, al mio lavoro, alla mia vita di tutti i giorni: una fatica immane, per incastrare gli allenamenti tra gli impegni della giornata, cercando di non irritare nessuno e di non trascurare (troppo) le altre attività quotidiane, sempre girando con le borse nel bagagliaio dell’auto, così da poter approfittare di ogni ora libera per un tuffo in piscina o una corsa liberatoria in mezzo ai campi o in riva al mare.
Tutto per arrivare preparato a quel tuffo in laguna alle 6:30 del 5 giugno.
Entro in acqua con la solita tensione, che riesco però a controllare grazie anche a qualche preghiera, sussurrata tra me e me.
L’impatto con l’acqua non è male, nonostante le pulsazioni tendano a salire: vedo San Giuliano lontano, guardo il Ponte della Libertà alla mia sinistra, che tante volte ho percorso per andare al lavoro: mi è sempre sembrato lungo in auto, eterno durante la maratona di Venezia, ma questa domenica mattina è stupendo.
So che sto facendo una cosa incredibile.
Quattro o cinque bracciate a rana, tanto per prendere confidenza con quest’acqua non proprio trasparente e poi via: uno, due, tre, respiro a destra; uno, due, tre, respiro a sinistra…
E così via, per un’ora e un quarto.
Provo a contare le “bricole” alla mia destra, ma mi perdo subito.
Qualcuno mi affianca e mi supera facilmente, ma dopo la metà del percorso comincio anch’io a lasciarmi alle spalle qualche cuffia colorata.
Vai così! Mi dico da solo.
Ecco San Giuliano, finalmente!
All’arrivo l’acqua è bassissima, si fatica persino a nuotare, ma la gioia di essere arrivato, con un ottimo tempo, è troppa per pensare ad altre difficoltà.
Esco dall’acqua, inizio a correre slacciando la muta e, in vista delle bici, incontro mio cognato Matteo, che mi aspettava, sia per incitarmi sia (immagino) per avvisare mia madre che sono uscito dalla laguna sano e salvo.
“Tutto a posto – gli grido – tutto perfetto!”.
Quanto ringrazierò, in questa giornata, i volti sorridenti degli amici che incontrerò lungo il percorso…
Ecco la zona cambio: prendo la mia borsa e mi svesto completamente, per indossare la tenuta da ciclismo. Via di corsa alla mia Argon 18, che mi aspetta, carica di roba da magiare e da bere.
Inforco il mio cavallo di carbonio e parto, iniziando subito a mangiare.
Mi sento benissimo, rincuorato per la buona prova a nuoto, ed inizio a pedalare con forza, imboccando la trentina di chilometri necessari per arrivare all’anello tra Meolo, Roncade e Monastier, da percorrere tre volte.
Vado via bene, con il mio k-way legato attorno alla schiena (come si dice da noi: “Pan e gabàn, sempre a portata de man…”) ed i chilometri filano via veloci.
Mangio, bevo, incontro amici che mi salutano, mi sorridono, mi fotografano.
Ad un ristoro prendo da un alpino un panino al prosciutto e, a quello dopo, una bottiglia d’acqua. Non mi trattengo e dico ridendo alla penna nera: “Grazie per l’acqua, ma preferivo un’ombra, però!”. Tutti ridono e mi gridano: “Ce l’abbiamo, rosso o prosecco? torna qua!”.
Goditi questo momento, mi dico: hai lavorato tanto per arrivarci.
Riesco a tenere i trenta all’ora per tutta la frazione, che chiudo in cinque ore e 54 minuti.
Entro per la seconda volta in zona cambio e mi rendo conto di due cose: sto benissimo e sono abbastanza indietro (le bici sulle rastrelliere sono tante).
Nessun problema, sono felice.
Cambio scarpe, maglietta e pantaloncini e via di corsa.
Incredibile: faccio i primi venti chilometri a 5:30 a km.
Non sono mai stato così bene ed in forma, neppure quando avevo vent’anni…
Alcuni amici sono anche qui al parco e i loro volti sorridenti, le loro parole di incitamento, mi aiutano tantissimo: grazie Paolo, grazie Martina.
Gli ultimo dieci chilometri sono un po’ faticosi, la media oraria scende drasticamente prima a sei a km, poi a sei e mezzo.
Una maratona eccezionale, comunque, durante la quale recupero ben cento posizioni.
Inizia a fare caldo e, alla fine, bevo acqua e sali ad ogni ristoro (ho fatto tutte le mie dodici ore solo assumendo cibi e liquidi naturali: solo due integratori di carboidrati durante la maratona).
È l’ultimo chilometro, quasi non me ne rendo conto.
I quadricipiti sono un po’ doloranti, ma per il resto sto ottimamente.
Arrivo sorridendo e, quando abbraccio mia sorella che mi aspetta all’arrivo, mi commuovo.
11 ore, 46 minuti e 41 secondi. 334° su ottocento.
Ce l’ho fatta.
Grazie a tutti.
Combinato lungo ad otto settimane dal Challenge Venice
Una domenica pomeriggio dedicata ad un bell’allenamento combinato, ad otto settimane esatte dal Challenge di Venezia.
Partenza alle 15 in punto per ottanta chilometri in bici alla buona media di 32 km/h, poi cambio veloce delle scarpe e via sull’argine del Piave per 20 km di corsa, anche qui all’ottima velocità media di 5,07 a km.
Buono il clima, ottima la mia tenuta psicofisica.
Un buon test, quindi, quasi mezzo ironman, tra l’altro non preparato dal punto di vista alimentare (mi ero portato via solo una banana e un litro di acqua e sale in bici…).
Dimenticavo: prima degli 80 km in bici ho fatto un’ora di zappa nell’orto.
Ha ragione mia suocera: è decisamente più faticoso di un paio di km a nuoto!
Elogio della fatica
Viviamo in una società che cerca spasmodicamente di eliminare la fatica e, con essa, tutto ciò che le è collegato: l’impegno, l’applicazione, la sopportazione, le rinunce, la disciplina.
Tutto deve essere il più possibile facile, veloce, leggero.
E questo, inevitabilmente, ci rende pigri, sia dal punto di vista fisico che mentale, oltre a farci perdere il piacere di tutto quello che solo grazie ad una “sana” fatica può essere legittimamente conseguito.
Il tema dell’importanza della fatica e dei successi che si possono raggiungere grazie ad essa sono il tema del bel libro dello psichiatra veneziano Matteo Rampin: “Elogio della fatica” in cui, dialogando con dieci atleti italiani, viene tracciato un’efficace e per alcuni versi poetica riflessione sullo sport come fatica nobile, come percorso educativo di enorme importanza.
Tre, spiega Rampin, sono gli avversari che ogni essere umano deve affrontare: il mondo fisico, gli altri esseri umani e se stesso.
Ed è qui che compare il ruolo nobile della fatica che, quale elemento connaturato ed essenziale della nostra vita, “è ciò che permette l’avanzamento del singolo e della società ed è il prezzo da pagare quando si vogliono sviluppare i talenti“.
Tanto che possiamo dire, con il filosofo tedesco Ernst Moritz Arndt, che “Il paradiso terrestre si chiama lavoro e fatica, e gioia e piacere dopo il lavoro e la fatica“.
Obiettivo Challenge Venice 2016
Chiuso l’anno 2015, ho fatto un po’ di bilancio “sportivo”.
Il risultato è per me molto soddisfacente.
Ho corso complessivamente per 2.400 km, ho pedalato per 3.600 e nuotato per altri 380.
Ho fatto quattro maratone (Treviso, Milano, Venezia e Reggio Emilia) ed alcune mezze, in particolare l’emozionante Moonlight Half Marathon di Jesolo, con la mia famiglia che mi aspettava all’arrivo.
Ho concluso il 20 settembre il meraviglioso Ironman 70.3 di Pola con un buon tempo e, soprattutto, senza particolari difficoltà.
Ora, dal punto di vista agonistico, mi sto concentrando anima e corpo (è proprio il caso di dirlo!), sul Challenge Venice del 5 giugno 2016.
Sarà la mia prima prova su distanza ironman: 3.800 metri a nuoto, 180 km in bici ed i 42,195 km finali della maratona.
Lo scenario è sicuramente suggestivo ed il percorso non dovrebbe essere particolarmente difficile, al di là della distanza complessiva, che per me rimane enorme…
Prese singolarmente le singole prove mi sembrano assolutamente fattibili ed in particolare il tratto di nuoto e la maratona credo siano assolutamente alla mia portata.
Mi preoccupano molto lo stato e le condizioni fisiche in cui in cui mi troverò una volta sceso dalla bicicletta…
Il circuito ciclistico è completamente pianeggiante, per cui ritengo di riuscire a mantenere i 30 all’ora di media che mi sono prefissato, magari con l’aiuto del potente mezzo che, dallo scorso mese di dicembre, fa bella mostra di sé nella mia “stanza degli attrezzi” (sarebbe decisamente pretenzioso definirla “palestra”…).
In questo momento mi sto concentrando proprio sulla bicicletta, che costituisce la parte della gara in cui sono certamente più debole e che più mi spaventa.
Il clima avverso ora non mi consente uscite, per cui non posso che pedalare sui rulli, chiuso sempre dentro la mia stanzetta, circondato da libri su viaggi e imprese sportive, capi di abbigliamento “tecnico”, bilancieri e scarpe da corsa di varie fogge e stato di usura.
Da tre settimane ho iniziato con gli allenamenti bi giornalieri: in genere inizio alla mattina presto, con la corsa o con i rulli; la piscina nei due giorni alla settimana in cui non corro, sempre nell’intervallo del pranzo; alla sera, lungo la pista ciclabile ad anello della mia Croce di Piave, attorno alle scuole elementari, per “mettere in cascina” qualche altro chilometro di corsa.
Riesco a mantenere una media settimanale di 60 km di corsa, 8 di nuoto e 140 di bici, tenendo un giorno (la domenica in genere) di riposo completo.
Vediamo per quanto tempo riuscirò a reggere questa media, combinando allenamenti, lavoro e famiglia.
Proprio una vita per uomini di ferro, non c’è che dire…
(meravigliosa, in ogni caso).
La paura del nuoto in acque libere
Dei tre sport che compongono il triathlon (nuoto, ciclismo e corsa) quello che preferisco è decisamente il nuoto.
Amo la piscina, soprattutto la corsia da 50 mt.
In genere vado ad allenarmi ad ora di pranzo: faccio una buona colazione al mattino verso le 6:30 e poi, in tarda mattinata, mangio un frutto, preferibilmente una banana.
Così riesco ad affrontare un allenamento di nuoto senza essere “scarico” e neppure troppo appesantito.
La mia sessione normale è di 4000 mt in un’ora e mezza, due volte la settimana.
D’estate, ovviamente, riesco a nuotare a lungo anche quattro volte alla settimana: il chilometraggio complessivo, quindi, è notevole.
Mi ritengo, pertanto, un discreto nuotatore: non veloce, ma resistente.
Immerso nell’acqua mi rilasso, lascio scorrere liberi i pensieri, sento i muscoli che spingono, il respiro regolare, la fatica senza i dolori ad articolazioni e giunture tipici della corsa: potrei dire che “nuoto zen”…
In poche parole: quando nuoto sono felice!
Eppure le cosiddette “acque libere” (mare o lago) mi fanno sempre impressione: non vedere il fondo, percepire la vastità dell’elemento in cui sei immerso, sentire gli altri che nuotano, tra spruzzi e ricerca d’aria tutt’attorno, mi crea un’ansia notevole…
Anche al mare, dove nuoto per quattro mesi d’estate, per ore e ore, vado sempre parallelo alla riva e resto sempre a poca distanza dalla battigia, anche a rischio di andare a sbattere contro qualche altro nuotatore come me.
La paura delle acque libere è un po’ come le vertigini (di cui, peraltro, soffro): non è logica, non ha motivazione scientifica, eppure esiste.
Lei è là, in agguato, ed aspetta il momento peggiore per artigliarti lo stomaco, romperti il ritmo del respiro e rovinarti la nuotata…
Per questo uscire dall’acqua dopo la prova di nuoto è sempre una soddisfazione!
IRONMAN Pola: finalmente ci siamo!
IRONMAN: l’uomo di ferro, il supereroe più umano della Marvel (in fondo, è solo un uomo molto intelligente, col cuore malandato ed una formidabile armatura volante)…
Ma anche la regina delle gare, il TOP per ogni triatleta, anche se mezzo pensionato ed un po’ acciaccato come me: 3.800 mt a nuoto, 180 km in bici e, per finire, una maratona intera: 42 km e 195 metri da correre tutti d’un fiato. La gara suprema, l’obiettivo finale, la meta agognata: quello che la maratona rappresenta per un podista o lo Zoncolan per un ciclista, è l’Ironman per un triatleta. Sono ancora molto lontano dal potermi permettere una gara del genere, ma la cosiddetta “mezza distanza” la posso fare.
In realtà, già il Long Ligerman del 2013 sul Lago di Santa Croce era quasi un mezzo Ironman: mancavano solo una decina di km in bici ed una manciata di km a piedi per arrivare alla distanza classica dell’Half Ironman.
Quindi, ce la posso fare!
E così, agli inizi della primavera 2015 mi iscrivo all’Half Ironman di Pola (Croazia): 20 settembre, un’intera estate per prepararmi; un sacco di chilometri da fare, soprattutto in bici; un bel tratto a nuoto in mare aperto, l’Adriatico, in fondo lo stesso mare che bagna Jesolo, dove nuoto fin da bambino. Giugno, luglio e agosto, quindi, sono dedicati alla preparazione: soprattutto “lunghi” in bicicletta, la disciplina in cui mi sento decisamente meno pronto: prima tre, poi quattro ed alla fine cinque ore di seguito sul sellino.Pedalare per 150 km in mezza giornata, su e giù per la riviera dell’alto Adriatico ed il primo entroterra veneziano: Jesolo, Punta Sabbioni, Eraclea Mare, Caorle, San Donà…
Avanti e indietro, sempre cercando di mantenere quella improbabile media di 30 km all’ora e tornare, per ora di pranzo, da mia moglie ed i miei ragazzi, che mi aspettano al mare a Jesolo da quando sono terminate le scuole.
Corro, durante la preparazione, la mezza maratone di Jesolo in notturna: la Moonlight Half Marathon, da Punta Sabbioni alla centralissima Piazza Mazzini della mia Jesolo. È la “corsa di casa”, che l’anno scorso non ho potuto fare a causa dell’intervento chirurgico al nervo sciatico, effettuato proprio il giorno prima del via (e che mi ha, di fatto, tenuto bloccato per tutta l’estate).Sono in perfetta forma, il clima è ideale, il percorso ottimo: chiudo in un’ora e 36, il mio record personale ma, soprattutto, con mia moglie Elisabetta ed i miei ragazzi, Giorgio e Maria, che mi aspettano all’arrivo.
E così l’estate passa, tra lunghe nuotate ed ancor più lunghe pedalate, ed arriva il 19 settembre.
Parto al mattino con Andrea Lazzarini, il mio collega avvocato, compagno di scuola e di tante serate, che ridendo promette di farmi da “direttore tecnico” (in realtà berrà aperitivi e cocktail sulla spiaggia per tutto il giorno, ma sarà puntualissimo all’arena, sulla linea del traguardo). Gli iscritti sono 2000 e ne arriveranno al traguardo in tempo utile 1668.
La partenza è per le dieci del mattino dalla bella spiaggia di Verudela, qualche km a sud di Pola. Il mare è piuttosto increspato e soffia una discreta bora, che qui arriva da terra: per fortuna la muta e consentita.
Entriamo in acqua quasi alla spicciolata, divisi in gruppi a seconda del tempo che ipotizziamo di impiegare a coprire i 1.900 metri della fase di nuoto. Le prime bracciate sono buone: l’acqua è trasparente, percorsa da pesci che brillano ai raggi della luce che si infilano tra le onde. Parto con molta calma, cercando di tenermi lontano dal gruppo e di mantenere il mio ritmo di tre bracciate ed un respiro. Mi pare di andare via bene, ma fondo roccioso dopo pochi metri scompare in una pozza nero-bluastra, l’acqua si fa profonda, sento la riva allontanarsi alle mie spalle ed ecco che arriva l’affanno. Perdo il ritmo del respiro, le onde che arrivano da destra cominciano a dare fastidio, le boe al largo mi sembrano lontanissime….
Calma, calma, calma.
Facile a dirsi: tutt’attorno continuo a vedere braccia che si agitano, cuffie colorate, piedi che scalciano… Decido di fare un po’ di bracciate a rana, sperando di regolarizzare il respiro e riprendere il ritmo. Vedo che non sono il solo ad aver avuto questa pensata: poco avanti a me scorgo una specie di gigante russo, con la scritta BALATON tatuata sul braccio, che era entrato in acqua con il solo costume da bagno, mentre noi eravamo tutti stretti dentro le mute di neoprene. Sta andando a rana anche lui!
Non se se è stata questa immagine curiosa a tranquillizzarmi, ma sta di fatto che arrivo alla prima boa decisamente più sereno. Viriamo a sinistra, per il breve tratto parallelo alla costa (che mi pare enormemente lontana) e puntiamo sulla seconda boa. La doppio e punto con decisione verso riva. Ho ripreso la mia nuotata normale, anche se sono costretto a respirare ogni due bracciate, sempre verso destra, per evitare di bere ogni volta che apro la bocca. Finalmente vedo la riva avvicinarsi. Scorgo la gente che fa il tifo. Noto che molti sono usciti da un bel po’, ma attorno e dietro a me ci sono ancora decine e decine di uomini che tentano di raggiungere la spiaggia il più presto possibile. Non sono ultimo, quindi, e già questa è una bella cosa… Inizio a vedere il fondale, i pesci sembrano essersene andati, la bora è piuttosto decisa e le onde fastidiose, ma ormai sento che è fatta. Appoggio i piedi e mi raddrizzo: sono fuori! Guardo il Garmin: 42 minuti. Pensavo peggio.
Dalla spiaggia si sale verso la pineta, dove ci sono le bici.Prendo la borsa per cambiarmi e, sinceramente, me la prendo comoda, trovando anche il tempo di scambiare qualche mezza battuta ed un sorriso sincero con un altro atleta in età, che fruga nella borsa in cerca del casco da bici prima ancora di essersi tolto la muta. Arrivo nel grande parcheggio per le bici e noto con soddisfazione che, oltre alla mia, ce ne sono molte ancora sui supporti. Ridacchiando tra me e me, trotterello con la bici al fianco fino all’uscita, salto in sella e via, verso Pola.
Il percorso in bici è lungo, vallonato e sarà bersagliato dal vento fino al “giro di boa” a nord, dopo la bellissima Sanvincenti, alla quale mi lega il dolce ricordo di un viaggio con mia moglie, quando eravamo ancora fidanzati. Il ritorno verso Pola ci fa passare in mezzo a pinete e paesini, dove la gente assiepata lungo le stradine ci saluta e ci incita (“Forza italiano!”); transitiamo lungo una specie di strada provinciale, sotto Valle (Bale in croato) e superiamo parecchie brevi salite, per me tanto dure quanto emozionanti.Iniziano finalmente anche le discese, nelle quali prendiamo molta velocità: quasi mi distendo sulle prolunghe del manubrio, mangio qualche barretta, bevo tutte e tre le borracce di acqua e integratori che mi sono portato.I l gruppo si è allungato tantissimo: pedalo praticamente da solo fino quasi a Pola.
Entro in città e vedo già molti nel pieno della prova di corsa.Metto finalmente anche io giù la bici, indosso le mie fedeli Asics arancioni ed inizio a correre.
Mi sento benissimo ed in piena forma. Le gambe vanno a meraviglia ed inizio a superare decine e decine di altri concorrenti. Sorrido sempre più soddisfatto: non sono certo un grande ciclista, ma a piedi corro meglio di tantissimi altri. Più il tempo passa, più macino chilometri sul lungomare di Pola (sono tre giri, al termine di ognuno dei quali delle ragazze ti infilano nel braccio destro un braccialetto colorato), più persone supero. Mi sento la pelle tutta impiastricciata di sudore, acqua salata e schizzi di integratori dolciastri, ma sono felicissimo: alla fine saprò di aver recuperato, nella frazione di corsa, oltre trecento posizioni.
Arrivo finalmente all’ultimo giro, scambio qualche entusiastico “5” con i bambini lungo il tratto si strada che conduce all’Arena. Incrocio anche Dario ‘daddo’ Nardone di FCZ, vero animatore della gara, che fa da speaker e chiama per nome gli atleti in transito: “Forza Alberto!” mi grida. Io stringo ancora di più i denti e vado avanti.
Ecco: ci sono.
L’Arena di Pola, bellissima come quelle di Verona, malinconica come solo un pezzo d’Italia e di Roma incastonato in un altro Paese può essere. È piena di gente. Alzo le braccia al cielo, limpido, azzurro e luminoso. Sento lo speaker dire il mio nome, vedo i due “gladiatori” al lati del traguardo, noto che sopra la finish-line il tabellone luminoso oltre al tempo indica anche il nome dell’atleta che sta passando…
Pochi secondi, un attimo, e tutto finisce.
Una ragazza mi mette al collo una medagliona enorme, sorridendo. Io rido sempre: me ne renderò conto solo dopo, vedendo le foto ed il video della gara.A pochi metri dietro l’arrivo c’è Andrea che mi aspetta: ci siamo salutati solo poche ore fa ed io ero pieno di dubbi, apprensione ed un po’ di paura.Adesso ci guardiamo sorridendo: “Non sembri neppure sudato – fa lui – sei sicuro di averla fatta tutta la gara?“. Mi dà un favoloso “5” e, guardandomi da sotto gli occhio da sole mormora: “Andiamo a mangiare, dai. Ho fame“. E davanti ad un calice di ottimo Malvasia Istriano posso brindare con serenità a questo mio successo…
(P.S. alla fine ho chiuso in 5 ore e 47 minuti, anche se il tempo ufficiale dirà 5:05, dato che hanno deciso di togliere i tempi del nuoto a causa del vento forte, che ha strappato un paio di boe mandando molti atleti fuori direzione: 42 minuti di nuoto; 3:09 di bici e, soprattutto, un ottimo 1:46:00 a piedi).
Treviso Marathon: il mio Personal Best (ma non scendo ancora sotto le tre ore e mezza)
Tre ore, trentuno minuti e… un secondo!
Per un soffio, quindi, non sono entrato nelle tre ore e mezza.
Una bella cosa quella del primo marzo 2015 a Treviso.
Fatta quasi per caso, visto che è la più vicina a casa.
Bella giornata di sole, ottima organizzazione, fisico a posto: non potevo che fare un bel risultato!
Maratona di Firenze: con le lacrime agli occhi…
Dopo la pausa forzata dell’estate scorsa, finalmente si ricomincia.
Mi alzo alle 3:40.
Avevo puntato la sveglia alle 4:15 ma alle tre e mezza ero già sveglio come un grillo.
Faccio colazione con calma (spremuta, latte, “pinza” come a Torino; mi preparo anche un panino integrale alla marmellata di fichi e una banana da mangiare dopo, in treno). Vado in bagno e puntuale alle 5 cinque meno un quarto arriva Luca. Siamo tutti e due poco preparati: io per aver ripreso a correre in agosto, dopo l’intervento al nervo sciatico e Luca per un dolore al piede che lo ha bloccato negli ultimi 15 giorni. Ad entrambi mancano i “lunghi” (io ne ho fatti solo tre, da 30 km) e lo pagheremo nell’ultimo tratto della gara.
Treno alle 5:37, semivuoto.
Ci accomodiamo con calma, Luca sonnecchia, io vado altre due volte in bagno (ottimo: é un aspetto importate per quanto apparentemente ridicolo…).
Arriviamo alle 7:30 e ci accodiamo al gruppo di podisti, che s’ingrossa strada facendo, e arriviamo al ponte San Nicoló, dove c’è la partenza. Incontriamo Cristian Fuser, che sabato ci ha ritirato i pettorali, ci vestiamo (fa caldo, almeno 16 gradi, e decido di correre in maniche corte con sopra la canottiera degli Oll Scars) e, dopo i saluti di rito (“spetame all’arrivo”) ognuno entra nella sua gabbia.
Su 11.000 iscritti, ne arriveranno al traguardo oltre 8686.
La partenza é molto lenta: siamo tanti e intasiamo i primi tratti.
Perdo un minuto al primo km e 40 sec. al secondo.
Solo al terzo riesco a mettermi sui 5 min/km, ma ho già perso i palloncini azzurri della “lepre” da tre ore e mezza, obiettivo ipotetico e “accarezzato”, nonostante fossi cosciente della mia scarsa preparazione.
Peraltro, nella settimana precedente la gara, ho iniziato a soffrire di frequenti aritmie e extrasistoli: non volendo correre rischi giovedì ho fatto una visita cardiologica con ECG a Monastier con successivo Holter per 24 ore. Solo venerdì all’una ricevo il benestare del cardiologo…
Con una mediocre preparazione ed un po’ di apprensione, affronto questa sesta sfida sulla lunga distanza.
Usciamo quasi subito dal centro storico, all’inizio c’é poca gente a fare il tifo, ma aumenta progressivamente.
Lungo il percorso ci sono ristori ogni 5 km (bevo sempre) e spugnaggi, gruppi musicali e stranieri, soprattutto francesi e spagnoli, ad incitare i loro corridori.
Tengo piuttosto bene, scendendo diverse volte sotto i 5 min e mi illudo di potercela fare…
Al 23′ km c’é un gruppo rock’n’roll con contrabbasso che mi ricorda l’estate: faccio un salto e fischio forte, ricaricandomi.
Torniamo quindi in centro, la gente é molta, il tifo aumenta.
Al km 34 imbocchiamo una strada stretta, alla fine della quale scorgo il campanile di Giotto!
Ho appena dato il “5” a due bambini e, pensando ai miei guardando questo spettacolo, mi commuovo.
Mi salgono addirittura le lacrime! Sono felice.
Gli ultimi km sono durissimi: i quadricipiti, soprattutto il destro, mi fanno male.
Sono stanco e la velocità scende a 5:30 e addirittura 5:40.
Capisco che le tre ore e mezza sono ormai un obiettivo impossibile.
Ma, ormai, mi basta arrivare, felice (e in salute).
Arrivando avevamo visto l’indicazione “KM 39” sul ponte Vecchio: penso solo a questo, adesso, immaginando che dopo il ponte é fatta. Ad un certo punto mi sento chiamare: “Vai Alberto, dai! Dai!”.
E’ Aldo Serafin, degli Oll Scars, venuto apposta da casa a fare il tifo per me, Cristian ed Ermete Pastorio, che supero ad un paio di km dall’arrivo.
Finalmente passiamo per Palazzo Vecchio, sotto il campanile, davanti al battistero. E’ stupendo!
Le gambe mi fanno sempre più male, temo un crampo (ce ne sono tanti bloccati, a causa del clima caldo e umido), ma alla fine arrivo in piazza Santa Croce, con la basilica alle spalle.
Lisa poi mi dirà che é vicino a via Anguillara, dove c’é la casa italiana di Martin Mistére: sinceramente, però, in quel momento, non mi rendo conto di nulla.
Vedo solo l’arrivo, potermi finalmente fermare, bere dell’acqua, telefonare a casa…
E’ fatta: sano e salvo in 3:40:17.
Avrei potuto limare qualche minuto, ma sono comunque molto contento.