Secondo uno studio condotto sui partecipanti alla maratona di Boston, un atleta di 19 anni raggiunge il picco della forza a 27, impiegandoci quindi otto anni (Born to run, C. McDougall, Mondadori, 2014)
Continuando l’allenamento, a che età si ritorna alle prestazioni iniziali, tenendo conto del naturale decadimento fisico?
35 (ovvero dopo altri otto anni)?
43 (dopo 16)?
In realtà, a 64 anni!
Abbiamo ancora 15 anni buoni di corse (e nuotate)…
Challenge Venice (note tecniche a margine)
Dopo il racconto “emozionale” della gara più impegnativa della mia vita, ecco un paio di “note tecniche” a margine, che potrebbero interessare qualche amico triatleta dilettante (ed un po’ in età…) come me.
Innanzitutto posso confermare un luogo comune, che ho constatato essere assolutamente vero e sacrosanto: una gara così non si improvvisa e neppure si prepara nei ritagli di tempo.
Per chiuderla in meno di dodici ore ho lavorato cinque mesi molto intensamente, arrivando a fare tre ore al giorno di allenamento e, nel week-end dedicato alla bici, quattro/cinque ore alla volta, seguite magari anche da una corsetta a piedi, così da provare lo sforzo combinato.
Il tutto avendo alle spalle un 2015 comunque impegnativo, con quattro maratone corse ed il mezzo Ironman di Pola del 20 settembre: sono quindi “partito” con la preparazione specifica già con le gambe ben preparate.
Ho fatto quasi tutto da solo, sempre cercando di non esagerare mai e seguendo delle tabelle “fai da me”, applicando però costantemente il principio della diversificazione dello sforzo, con allenamenti specifici a giorni alterni.
Per i bigiornalieri dell’ultimo periodo ho cercato di ridurre la corsa a sole tre uscite alla settimana, inserendo molta più bici, ovviamente trascurata durante l’inverno (anche se i rulli mi hanno aiutato tantissimo) e mantenendo i soliti due appuntamenti in piscina, che ho però prolungato, arrivando a tenere una media di 5 km a sessione, grazie anche alle indicazioni dell’intramontabile istruttore di nuoto Egidio Aliprandi, che ha sempre “sorvegliato” da lontano le mie bracciate troppo frequenti…
Ma l’allenamento non basta.
Ho infatti potuto constatare l’assoluta verità di quanto scrive il prof. Fulvio Massini, guru italiano della corsa, secondo il quale il risultato di una gara dipende da tre fattori: allenamento, alimentazione ed attitudine mentale.
Dell’allenamento ho detto e, come ho già confessato, sarà sicuramente il ricordo più forte che mi porterò dietro in eterno, forse anche più intenso della gara stessa.
Per l’alimentazione mi sono affidato ad una nutrizionista, la Dr.ssa Nadia Sorato, che mi ha dato indicazioni essenziali per farmi arrivare alla partenza con il serbatoio carico di energia e per cercare di mantenerne il più possibile durante la gara.
Pasti frequenti, controllo del peso e della massa corporea. E poi ricerca del giusto equilibrio tra carboidrati e proteine, della corretta idratazione (niente Gatorade o altri prodotti del genere: solo acqua, un pizzico di sale ed un po’ di succo all’albicocca), del “carico” nella settimana precedente al via.
Quella mattina, seguendo scrupolosamente le indicazioni della nutrizionista, mi sono alzato alle tre, così da poter mangiare un etto e mezzo di pasta col grana, un panino alla marmellata e, ad intervalli regolari, fruttini Zuegg e Pavesini fino a mezz’ora prima della partenza del nuoto (6:30).
Uscito dall’acqua ho subito bevuto mezzo litro d’acqua ed appena salito in bici ho iniziato a mangiare cibi solidi: ottimi biscotti alla marmellata e frutta secca in abbondanza, facile tra trasportare e gustosa al mio palato (cosa da non trascurare: bisogna mangiare di continuo ed è importante che quello che ti ficchi in bocca non inizi a fare schifo già dopo la prima ora…).
Ai ristori ho afferrato al volo due panini al prosciutto, le banane ed anche un paio di barrette.
Come da indicazioni, ho smesso di ingerire cibi solidi alla quarta ora di bici, tornando a fruttini Zuegg e Pavesini, che creano un buon mix di zuccheri e carboidrati e sono facili da digerire.
Sono potuto così partire con la corsa a piedi avendo lo stomaco leggero, ma con un buon serbatoio, non ancora “in riserva”.
Durante la maratona ho preso solo due gel, ma non ho lesinato acqua e sali, soprattutto nell’ultima ora, quando il caldo cominciava a farsi sentire.
Sono arrivato al traguardo senza particolari difficoltà, tenendo sempre il ritmo che mi ero prefissato e riuscendo così a gestire la gara con attenzione ed efficacia.
Il terzo elemento, come detto, è sicuramente l’attitudine mentale: chiamiamola motivazione, perseveranza oppure resilienza come dice Trabucchi, certo è che senza una grande concentrazione ed una strenua preparazione psicologica, non sarei andato da nessuna parte.
Controllo della tensione prima di entrare in acqua, così da evitare attacchi di ansia ed aumento incontrollato delle pulsazioni; contenimento dello sforzo durante la fase di bici, per non farsi prendere dall’entusiasmo e spingere più del dovuto; concentrazione massima e autocontrollo durante la maratona, la fase certamente più impegnativa sia fisicamente che da un punto di vista psicologico.
La forza di volontà non mi è mai venuta meno, anche grazie all’iniziativa Autismo S.O.S. che avevamo ideato assieme all’amico Achille Santin: ho “sfidato” cinque aziende, sensibili a questi temi sociali, a versare all’associazione un euro ciascuna per ogni chilometro che sari riuscito a percorrere durante la gara.
226 chilometri totali, per cinque aziende, fa un totale di 1.130,00 euro, che l’associazione Autismo S.O.S. impiegherà per i propri scopi assistenziali e di volontariato.
Una splendida avventura.
Combinato lungo ad otto settimane dal Challenge Venice
Una domenica pomeriggio dedicata ad un bell’allenamento combinato, ad otto settimane esatte dal Challenge di Venezia.
Partenza alle 15 in punto per ottanta chilometri in bici alla buona media di 32 km/h, poi cambio veloce delle scarpe e via sull’argine del Piave per 20 km di corsa, anche qui all’ottima velocità media di 5,07 a km.
Buono il clima, ottima la mia tenuta psicofisica.
Un buon test, quindi, quasi mezzo ironman, tra l’altro non preparato dal punto di vista alimentare (mi ero portato via solo una banana e un litro di acqua e sale in bici…).
Dimenticavo: prima degli 80 km in bici ho fatto un’ora di zappa nell’orto.
Ha ragione mia suocera: è decisamente più faticoso di un paio di km a nuoto!
Elogio della fatica
Viviamo in una società che cerca spasmodicamente di eliminare la fatica e, con essa, tutto ciò che le è collegato: l’impegno, l’applicazione, la sopportazione, le rinunce, la disciplina.
Tutto deve essere il più possibile facile, veloce, leggero.
E questo, inevitabilmente, ci rende pigri, sia dal punto di vista fisico che mentale, oltre a farci perdere il piacere di tutto quello che solo grazie ad una “sana” fatica può essere legittimamente conseguito.
Il tema dell’importanza della fatica e dei successi che si possono raggiungere grazie ad essa sono il tema del bel libro dello psichiatra veneziano Matteo Rampin: “Elogio della fatica” in cui, dialogando con dieci atleti italiani, viene tracciato un’efficace e per alcuni versi poetica riflessione sullo sport come fatica nobile, come percorso educativo di enorme importanza.
Tre, spiega Rampin, sono gli avversari che ogni essere umano deve affrontare: il mondo fisico, gli altri esseri umani e se stesso.
Ed è qui che compare il ruolo nobile della fatica che, quale elemento connaturato ed essenziale della nostra vita, “è ciò che permette l’avanzamento del singolo e della società ed è il prezzo da pagare quando si vogliono sviluppare i talenti“.
Tanto che possiamo dire, con il filosofo tedesco Ernst Moritz Arndt, che “Il paradiso terrestre si chiama lavoro e fatica, e gioia e piacere dopo il lavoro e la fatica“.
Obiettivo Challenge Venice 2016
Chiuso l’anno 2015, ho fatto un po’ di bilancio “sportivo”.
Il risultato è per me molto soddisfacente.
Ho corso complessivamente per 2.400 km, ho pedalato per 3.600 e nuotato per altri 380.
Ho fatto quattro maratone (Treviso, Milano, Venezia e Reggio Emilia) ed alcune mezze, in particolare l’emozionante Moonlight Half Marathon di Jesolo, con la mia famiglia che mi aspettava all’arrivo.
Ho concluso il 20 settembre il meraviglioso Ironman 70.3 di Pola con un buon tempo e, soprattutto, senza particolari difficoltà.
Ora, dal punto di vista agonistico, mi sto concentrando anima e corpo (è proprio il caso di dirlo!), sul Challenge Venice del 5 giugno 2016.
Sarà la mia prima prova su distanza ironman: 3.800 metri a nuoto, 180 km in bici ed i 42,195 km finali della maratona.
Lo scenario è sicuramente suggestivo ed il percorso non dovrebbe essere particolarmente difficile, al di là della distanza complessiva, che per me rimane enorme…
Prese singolarmente le singole prove mi sembrano assolutamente fattibili ed in particolare il tratto di nuoto e la maratona credo siano assolutamente alla mia portata.
Mi preoccupano molto lo stato e le condizioni fisiche in cui in cui mi troverò una volta sceso dalla bicicletta…
Il circuito ciclistico è completamente pianeggiante, per cui ritengo di riuscire a mantenere i 30 all’ora di media che mi sono prefissato, magari con l’aiuto del potente mezzo che, dallo scorso mese di dicembre, fa bella mostra di sé nella mia “stanza degli attrezzi” (sarebbe decisamente pretenzioso definirla “palestra”…).
In questo momento mi sto concentrando proprio sulla bicicletta, che costituisce la parte della gara in cui sono certamente più debole e che più mi spaventa.
Il clima avverso ora non mi consente uscite, per cui non posso che pedalare sui rulli, chiuso sempre dentro la mia stanzetta, circondato da libri su viaggi e imprese sportive, capi di abbigliamento “tecnico”, bilancieri e scarpe da corsa di varie fogge e stato di usura.
Da tre settimane ho iniziato con gli allenamenti bi giornalieri: in genere inizio alla mattina presto, con la corsa o con i rulli; la piscina nei due giorni alla settimana in cui non corro, sempre nell’intervallo del pranzo; alla sera, lungo la pista ciclabile ad anello della mia Croce di Piave, attorno alle scuole elementari, per “mettere in cascina” qualche altro chilometro di corsa.
Riesco a mantenere una media settimanale di 60 km di corsa, 8 di nuoto e 140 di bici, tenendo un giorno (la domenica in genere) di riposo completo.
Vediamo per quanto tempo riuscirò a reggere questa media, combinando allenamenti, lavoro e famiglia.
Proprio una vita per uomini di ferro, non c’è che dire…
(meravigliosa, in ogni caso).
La paura del nuoto in acque libere
Dei tre sport che compongono il triathlon (nuoto, ciclismo e corsa) quello che preferisco è decisamente il nuoto.
Amo la piscina, soprattutto la corsia da 50 mt.
In genere vado ad allenarmi ad ora di pranzo: faccio una buona colazione al mattino verso le 6:30 e poi, in tarda mattinata, mangio un frutto, preferibilmente una banana.
Così riesco ad affrontare un allenamento di nuoto senza essere “scarico” e neppure troppo appesantito.
La mia sessione normale è di 4000 mt in un’ora e mezza, due volte la settimana.
D’estate, ovviamente, riesco a nuotare a lungo anche quattro volte alla settimana: il chilometraggio complessivo, quindi, è notevole.
Mi ritengo, pertanto, un discreto nuotatore: non veloce, ma resistente.
Immerso nell’acqua mi rilasso, lascio scorrere liberi i pensieri, sento i muscoli che spingono, il respiro regolare, la fatica senza i dolori ad articolazioni e giunture tipici della corsa: potrei dire che “nuoto zen”…
In poche parole: quando nuoto sono felice!
Eppure le cosiddette “acque libere” (mare o lago) mi fanno sempre impressione: non vedere il fondo, percepire la vastità dell’elemento in cui sei immerso, sentire gli altri che nuotano, tra spruzzi e ricerca d’aria tutt’attorno, mi crea un’ansia notevole…
Anche al mare, dove nuoto per quattro mesi d’estate, per ore e ore, vado sempre parallelo alla riva e resto sempre a poca distanza dalla battigia, anche a rischio di andare a sbattere contro qualche altro nuotatore come me.
La paura delle acque libere è un po’ come le vertigini (di cui, peraltro, soffro): non è logica, non ha motivazione scientifica, eppure esiste.
Lei è là, in agguato, ed aspetta il momento peggiore per artigliarti lo stomaco, romperti il ritmo del respiro e rovinarti la nuotata…
Per questo uscire dall’acqua dopo la prova di nuoto è sempre una soddisfazione!