La paura del nuoto in acque libere
Dei tre sport che compongono il triathlon (nuoto, ciclismo e corsa) quello che preferisco è decisamente il nuoto.
Amo la piscina, soprattutto la corsia da 50 mt.
In genere vado ad allenarmi ad ora di pranzo: faccio una buona colazione al mattino verso le 6:30 e poi, in tarda mattinata, mangio un frutto, preferibilmente una banana.
Così riesco ad affrontare un allenamento di nuoto senza essere “scarico” e neppure troppo appesantito.
La mia sessione normale è di 4000 mt in un’ora e mezza, due volte la settimana.
D’estate, ovviamente, riesco a nuotare a lungo anche quattro volte alla settimana: il chilometraggio complessivo, quindi, è notevole.
Mi ritengo, pertanto, un discreto nuotatore: non veloce, ma resistente.
Immerso nell’acqua mi rilasso, lascio scorrere liberi i pensieri, sento i muscoli che spingono, il respiro regolare, la fatica senza i dolori ad articolazioni e giunture tipici della corsa: potrei dire che “nuoto zen”…
In poche parole: quando nuoto sono felice!
Eppure le cosiddette “acque libere” (mare o lago) mi fanno sempre impressione: non vedere il fondo, percepire la vastità dell’elemento in cui sei immerso, sentire gli altri che nuotano, tra spruzzi e ricerca d’aria tutt’attorno, mi crea un’ansia notevole…
Anche al mare, dove nuoto per quattro mesi d’estate, per ore e ore, vado sempre parallelo alla riva e resto sempre a poca distanza dalla battigia, anche a rischio di andare a sbattere contro qualche altro nuotatore come me.
La paura delle acque libere è un po’ come le vertigini (di cui, peraltro, soffro): non è logica, non ha motivazione scientifica, eppure esiste.
Lei è là, in agguato, ed aspetta il momento peggiore per artigliarti lo stomaco, romperti il ritmo del respiro e rovinarti la nuotata…
Per questo uscire dall’acqua dopo la prova di nuoto è sempre una soddisfazione!
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