Elogio della fatica
Viviamo in una società che cerca spasmodicamente di eliminare la fatica e, con essa, tutto ciò che le è collegato: l’impegno, l’applicazione, la sopportazione, le rinunce, la disciplina.
Tutto deve essere il più possibile facile, veloce, leggero.
E questo, inevitabilmente, ci rende pigri, sia dal punto di vista fisico che mentale, oltre a farci perdere il piacere di tutto quello che solo grazie ad una “sana” fatica può essere legittimamente conseguito.
Il tema dell’importanza della fatica e dei successi che si possono raggiungere grazie ad essa sono il tema del bel libro dello psichiatra veneziano Matteo Rampin: “Elogio della fatica” in cui, dialogando con dieci atleti italiani, viene tracciato un’efficace e per alcuni versi poetica riflessione sullo sport come fatica nobile, come percorso educativo di enorme importanza.
Tre, spiega Rampin, sono gli avversari che ogni essere umano deve affrontare: il mondo fisico, gli altri esseri umani e se stesso.
Ed è qui che compare il ruolo nobile della fatica che, quale elemento connaturato ed essenziale della nostra vita, “è ciò che permette l’avanzamento del singolo e della società ed è il prezzo da pagare quando si vogliono sviluppare i talenti“.
Tanto che possiamo dire, con il filosofo tedesco Ernst Moritz Arndt, che “Il paradiso terrestre si chiama lavoro e fatica, e gioia e piacere dopo il lavoro e la fatica“.
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